giovedì, aprile 17

L'album migliore


"Walking to the sound of my favorite tune / Tomorrow never knows what it doesn't know too soon"

Passa il tempo. Ma il prezzo dei dischi dei Beatles non cala mai. Cosi' come il numero di fan che si rinnova di anno in anno, grazie al lavaggio celebrale che si rinnova generazionalmente grazie ai personaggi psichedelicamente animati di Yellow Submarine e i Biechi Insegnanti di Musica (non sono informato, esistono ancora?)

E cosi', di anno in anno, si rinnova il dibattito: qual'e' l'album migliore del quartetto di Liverpool? (i Beatles). La risposta ovviamente viene ruotata ciclicamente come gli scudi dell'Enterprise sotto attacco Borg per incrementare le vendite dei supporti sonori.

La lancetta del gustometro si sposta puntualmente dal 1965 al 1969 sbacillando tra Help, Rubber Soul (la scoperta di un'identita', l'apice del sodalizio MaccaLennon) e il crepuscolare canto del cigno (White Album, Abbey Road). Se questo e' stato l'anno di Wayne Coyne e Sgt. Pepper, il 1997 il primato e' toccato a Revolver.

Revolver e' un album strano. Si vede che I Baronetti erano passati da cose piu' leggere a farsi degli infusi di tea piu' pesanti. Copertina psichedelissima, disegnata, minimale come i suoni, ricercati tramite un uso naif di totale scoperta e sperimentazione delle tecniche di sovraincisione (i signori hanno composto quasi tutti i brani individualmente, alienati nei loro ego come messia lebbrosi), l'album parla di morte, silenzi e monaci tibetani.

La prima volta che ho "visto" Revolver (mi ero copiato una cassettina da un amico mod confezionandola con ritagli di riviste) è stata a casa di un amico piu' grande. Avevo forse 14 anni, e dei Beatles avevo ascoltato solo le mitiche raccolte rossa e blu (ora penso fuori commercio per promuovere la vendita della Beatle Ant)

Apparve da sotto un tavolo. In vinile. Misero su' "Here There and Everywhere". Fu incanto.

"Eleanor Rigby" e' il piu' straziante e sommesso grido di solitudine assieme a "I am a rock" di Simon e Gartfunkel, e forse il vertice piu' alto di poesia in musica mai raggiunto. Qui Macca è piu narratore che cantante. E tuttavia, grazie all'orchestrazione di George Martin riesce a stranire e straniare con una musica che attingeva al passato, ma guardava al foturo, reinventando e fregandosene di tutte le regole che allora dettavano la scrittura di un brano di musica pop.

Eleanor della tomba e' morta il giorno del mio compleanno. Bizzarro. Cosi' come nello stesso cimitero siano sepolti una Eleanor Rigby e un McKenzie (cognome a dire il vero molto comune)... e il buon Macca non ne sapesse nulla (aveva scelto il nome abbinando il nome di una attrice e quello di un negozietto)

Ecco a voi l'arrangiamento del quartetto d'archi ad uso e consumo di un vostro karaoke

"For No One" è, nella sua brevita', una delle mie canzoni preferite, che vede il Macca in uno dei suoi piu' classici accompagnamenti pianistici. Geniali nelle intuizioni quanto uniformi e formali nell'esecuzione. Ha influenzato tante delle cose che mi sono divertito a comporre. Ecco qui una prima versione casalinga.

I Bealtes avevano sempre il vezzo geniale, introdotto da George, di tirare fuori dal cilindro uno "strumento anomalo" (come ama definirli Mr.Nice Person) per lasciare il segno nell'ascoltatore, e particolarizzare la composizione. In "For No One" si ricorse ad Alan Civil, che chiamato a registrare, convinto di dovere incidere un pezzo classico, pensava che il brano si initolasse "For No. 1"

Ma la vera "Rivoluzione" arriva come al solito dallo svogliatissimo John Lennon: "Tomorrow Nevr Knows". Il bello è che John non voleva neanche scrivere una canzone. Traendo ispirazine dal Libro Tibetano dei Morti, John voleva usufruire della "tecnologia di casa" per incidersi un nastro che lo guidasse e rassicurasse nei suoi trip di LSD, invitandolo ad abbandonarsi al viaggio, seguire la luce, non opporsi alla distruzione del suo ego e non cedere al possibile incremento della percezione delle sue paure. La cosa prese talmente piede che si trasformo' in un brano talmente proiettato in avanti che non solo divenne fonte di ispirazione per una decinaia di brani Manchester Pop grazie all'incapacita' esecutiva di quel muratore conosciuto come Ringo Starr, ma non trovo' la tecnologia necessaria a poterlo riprodurre identico nemmeno per due volte consecutive. John, frustrato dall'impossibilita' di avere il coro di cento monaci tibetani e non superare la barriera delle quattro tracce, appese nello studio registratori con bobine ricorsive riproducendo suoni naturali a varie velocita', tenuti a distanza del microfono tramite matite, che venivano lasciate per lasciarli oscillare vicino alal fonte di registrazione. Cosa non si fa per essere indie. La canzone all'inizio doveva chiamarsi "The Void", ma Ringo una sera se ne usci' con una delle sue solite scappate da analfabeta, comprimendo "Non sai mai cosa porterà il domani" in "Domani non lo sa". A voi una di queste registrazioni.




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