martedì, settembre 30

LMALL SIZE, BIG SMILE


- Hai sentito il nuovo album?
- Ancora no Fabio...
- Ma scusa... scaricalo...
- Ma Fabio... volevo aspettare di comprarlo per sentirlo, cosi' ho una buona giustificazione
-
Si'... ma chi cazzo se ne frega, te scaricalo, poi lo comprerai anche, cosi' intanto mi dici in diretta cosa ne pensi...

E' passata piu' di una settimana da quella chiacchierata telematica con Fabio Benni, dei Le Man Avec Le Lunettes. Mi ero ripromesso di recensire subito, o almeno spendere due parole, su quello che, a mio avviso, e' il miglior album mai prodotto dalla anglofilo italoscena musicale indiana. "Plaska Plaska Bom Belibom" non è solo un'onomatopea svedese, una continua sorpresa sonora, una gioia per le orecchie spontanea e intelligente, come le "Hand-Phones" paraorecchie pronte a proteggerci con calore dal mondo esterno, un po' come i suoni stereofonici delle cuffie pronte a spararci amore nel cervello e al contempo separare il cervello da tutto cio' che e' tangibile. PPBB e' un regalo. Un bellissimo regalo che dopo una lunga gestazione non chiede altro di essere scartato ed essere accolto nel nostro stereo, ipod, mangiadischi, lettore winamp. Un regalo come minimo, una volta ricevuto, va contraccambiato con un'attenzione pari all'affetto con cui l'hai ricevuto. E' per questo che, con vergognoso ritardo, mi accingo, non potendo fare di meglio per cottraccambiare, almeno a ringraziare a parole.



Cominciamo col dire che i passi avanti dagli esordi ci sono e si sentono, non solo per il passaggio dal duo minimale ed elettronico dell'esordio "?" (piu' che una raccolta di brani dai vari ep che un esserino indipendente e compiuto) alla formazione allargata a sei, ma per una gioia inattesa, una incessante ricerca musicale che non si accontenta di una semplice completezza, una voglia di piacere spontanea e non ricercata, tuttavia molto intelligente e ispirata. Autentica.

"The Happy Birth of You and Me". Grande apertura. Dai tempi del jingle dedicato al Mi Ami 2007 che osservavo con Fabio che la melodia, degna di un drogatissimo Brian Wilson, non poteva diventare un divertissment, e avrebbe meritato una vita propria. Cosi' e' stato, e l'emozione di averla ascoltata in anteprima ad un concerto a Bologna e' stata superata dai mille suoni stereofonici che vanno e vengono durante i 4 minuti della canzone. Non mi sono avventurato a contare tutti gli strumenti che intervengono nel brano di apertura, un vero e proprio manifesto di quello che saranno i 29 minuti a venire. Sarebbe stato un po' come a mettersi a contare i sospiri di un'amante durante una notte focosa. Ci si perderebbe il divertimento. (Ok. io conto piano, archi, piatti, timpani, batteria, chitarra elettrica, tastiera, mandolino, glocken, xilofono, teramin, basso, la chitarra campionata di "Drive my car", violoncello, banjo, mandolino elettrico, piano, fisarmonica, 3 voci, hammond)

"Apples". La prima volta che ho sentito parlare di questa canzone è stato al concerto dei Lodgers. Paolo, il BOSS della MyHoney, si era offerto di compilare il temutissimo borderau per la band londinese. Visti i nomi troppo lunghi aveva tirato fuori alcune cose fantasmagoricamente misteriose e corte. Tra queste c'era per l'appunto "Apples".

La prima volta la canzone l'ho sempre sentita al recetnte concerto di Bologna. Non avevo associato la canzone al titolo, nè seguito bene il testo. Ma ero rimasto stupito. "Toh!", ho pensato, "qui sembrano proprio gli Apples in Stereo". Ascolto PPBB... e mi rico: "Ma allora non era un'impressione!! Parla proprio della band americana!"

A mio avviso il vero momento della canzone e' a 27" , quando l'incedere narrativo del cantato viene completamente spiazzato via dal tastieroso incalzare di "C'mon Apples...", totalmente ipnotico. Il giro di chitarra iniziale poi una shnauzerata autentica, a conferma della supposta parentela di Alessandro Paderno con il capo della band americana. Incredibile l'intreccio tra tastierine, moog (moog?) e fisarmonica. Ancora una volta suoni mai piu' lunghi di una manciata di secondi che escono fuori da ogni dove piu' stereofonicamente possibile, con i cori che man mano diventano sempre piu' Supergrassiani. A trenta secpondi dalla fine il tappeto di fisarmonica guida chitarra e tastierina morse verso la chiusura del pezzo, per aprire con...

"Se På Stjärnorna", un'altra gioia sonora happy sad da riascoltare all'infinito, piu' Swiss Pop che Sweden, con un bridge a 37" che sembra uscito paro paro da uno degli album dei Perturbazione o, indistintamente, dalle session di Abbey Road per la registrazione di Eleanor Rugby. SI'. Perche' una delle cose che ho gradito maggiormente del nuovo corso dei Lunetti è una identita' sonora VERAMENTE indipendente lontana dai facili richiami a abbandoni della scenta twee da club dei poveri. I rimandi sono per lo piu' a ricercate band melodiche (su questo brano, oltre ai Beatles, mi vengono in mente Teenage Fanclub, Clientele. i Devics velocizzati)

"I Can't Get Anything" ha degli accompagnamenti degni di Louis Philippe e inaspettatamente maturi per i musicisti di Brescia. La voce di Francesca Amati spiazza e stupisce ancora di piu' con un tono profondo e ispirato, dalle acerbe venature quasi Amywinousiane, per una specie di "We've got all the time in the world" al contrario. Quasi un brano da un altro album, di un'altra band.

Si ritorna ad un momento molto "Un numero e' una pura astrazione matematica" con il piacevole mare di melassa e uccellini di "A Summer Song", forse il brano piu' swedeggiante, tanto da sembrare quasi prodotto da Hideki Kaji.

Dopo una velocissima "introduzione pac-man "Nothing is Really Blue" non avrebbe sfigurato nell'album della coppiata Paul Simon - Biran Eno, con la differenza che i ragazzi dei Le Man Avec Le Lunettes hanno fatto tutto da soli senza nemmeno un produttore.

"The Biggest Way" è il momento della grande rivincita di Paddy Lennon, forse il brano piu' vecchia maniera del disco. 1 e 18" i cori delle tre voci sono una gioia per le orecchie, per uno dei brani piu' catchy e radiofonici dell'album. a 1' 53" la sorpresa dei fiati molto "Irene", che si alternano ad una tastiera, invece molto "Jeeg robot d'acciaio", come piace a noi giovani trentenni.



Gli ultimi due brani di Plaska Quadro ci riservano le trovate piu' geniali. A partire dai titoli!

"Supermarket for Superman" è invenzine sonora applicata al godimento delle orecchie, con repentini cambi di tempo e una tastiera mellotron, minimoog o quellocheè a meta' tra "Fool on the hill" e "Strawberry Field"

Chiude l'album la piacevolmente divertente "The Lunch Boy", dove i flussi delle tastierine vengono sconsideratamente incrocaiti in ritmice pum-cha smotatamente disco-70 al ritmo scanditi da spensierati pa-pa-pa. Attendiamo una cover degli Ex-Otago rechiamoci all together a pranzo sotto la pioggia battente dei boschi malmolesi.

Per questa volta offrono i Le Man Avec Le Lunettes.
E dire che per Elisa e Tiziano Ferro ci tocca pagare.

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