giovedì, giugno 18
Non c'è due senza Vague
Premessa. Ne parlavamo l'altro giorno in macchina diretti per Carpi. Tra i numerosi concerti che ho visto ricordo quello del progetto-cover (oddio, che riduttivo chiamarlo così!) "Nouvelle Vague" come quello più inaspettatamente coinvolgente, ispirato e abrasivo a cui abbia mai assistito (ecco qui un vecchio resoconto). Per quanto riguarda gli album, chi per puro caso non ne fosse a conoscenza, vi basti sapere che il progetto di traghettare con un'operazione fainamente nostalgica i brani New Wave in sofisticate fighetterie bossaindie (che non è un nuovo asse provincial-nazionalista) nasce da un'idea di Marc Collin e Olivier Libaux, che alternanoalla re-interpretazione dei brani una stuola di cantanti neanche fossero un ritrovo di Signori del Tempo venuti da Gallifrey (Doctor Who, tipo)
E' uscito da poco il terzo album, dal significativo titolo... 3!
D'accordo sulla mancanza totale di un fattore sorpresa già a partire dal titolo (unica novità, gli ospiti di rilievo come Martin Gore e Ian McCulloch, a testimoniare che un po' di centimetri di distanza dalla nicchia il progetto deve esserseli guadagnati), ma non capisco come alcune persone si possano essere stentite deluse da una pletora di brani così finemente scelti e arrangiati. Sarebbe come pretendere dai "Daysleepers" di mettersi forzatamente a incidere i propri brani in un garage assieme ai "Mika Miko"!
"Master & Servant" dei Depeche Mode gigioneggia con un blus da farwest tanto altalenante e polveroso da poterci canticchiare sopra tranquillamente "Personal Jesus". Non avrebbe sfigurato affatto in un album dei Catatonia!
In "Blister in the sun", un brano abusatissimo che ha francamente sfracellato i maroni, si scopre la spensieratezza di Beck che va a trovare in Giappone i Pizzicato 5 per un pic-nic a base diokonomiyaki e omini di marzapane disegnati male.
"Road To Nowhere" che sembra rifatta dagli Annie Hall appesa con due ceppetti alle linee più terse di azzurrissimi orizzonti country (non ci sarebbe stato mica male un duetto con Nina Persson, che si sbaglia e parte con "The Sound of Silence") e l'irresistibile "The American" in un irrefrenabile spirale di gioia compulsiva ad avvitarsi attorno al ritornello. Dicamolo: l'originale fa proprio cacare, qui si sente il tocco di Cotello, The Warner Years!
"Heaven" dei Psychedelic Furs è uno dei brani della mia top-ten personale di sempre, dignitosissima, e sicuramente meglio di Paul Young che rifà "Love will tear us apart".
"Parade" e "All My Colours" stracciano un po' le palle, ma i brani originali non aiutano.
La skatenata "Ca Plane Pour Moi" sembra voler strappare il riff direttamente dalle mani di Super Mario, omaggio graditissimo al Plastic Bertrand finito direttamente sulla mia ultima cassettina mista. "Our Lips Are Sealed" degna di una relase nipponica ("Such a beautiful girl like you") dei "Black Box Recorder" (penso a "The art of driving"), ma c'è anche un pizzico del Bowie più swingamericano. Uno dei brani più riusciti dell'album.
Divertente infine vedere quanto fingerpicking e precisione chitarristica e vocale sono stati profusi nel totale ribaltamento di "God Save The Queen", originariamente sguaiato e caotico, ora VERO sberleffo alla beatlesiana "Her Majesty", non scevro di una sorta di materna commiserazione nei confronti del movimento Punk e i suoi fallimenti.
"Say Hello Wave Goodbye" sorprende ma delude, mentre "So Lonely" risulta sgraditamente disorientante, ma forse due o tre acuti latrati da Bono e un cut and paste del giro di "Where The Street Have No Name" avrebbero cambiato la situazione.
Nouvelle Vogue 3, come il numero di tracce da skippare. Negli anni ottanta sarebbe stato un primato. Direi che è un successone anche nell'epoca del copia e incolla.
Nouvelle Vague - "Road to Nowhere"
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